Le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a risolvere una questione di massima di particolare importanza, sollevata dall’ordinanza n. 33312 dell’11 novembre 2021, con la sentenza n. 23051 del 25 luglio 2022 stabiliscono il seguente principio di diritto:

“l’atto di scissione relativo a società semplici è assoggettato, ex art. 4 Tariffa Parte Prima, all. d.P.R. 131/86, ad imposta di registro in misura fissa, dal momento che il requisito normativo dell’oggetto esclusivo o principale di natura commerciale o agricola non concerne le società ma soltanto gli enti diversi da queste”.

La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite riguardava l’interpretazione dell’art. 4 della Tariffa cit. e il regime impositivo degli atti di scissione societaria, con particolare riguardo alla riferibilità o meno del requisito dell’esercizio dell’attività commerciale o agricola anche alle società.

Nello specifico la fattispecie controversa aveva ad oggetto la tassazione di un atto di scissione totale della Finanziaria s.r.l. con devoluzione del suo patrimonio netto a favore di due società beneficiarie preesistenti, una s.r.l. e una società semplice, atto che secondo l’Agenzia delle entrate era da assoggettare all’imposta proporzionale di registro ai sensi dell’art. 9 della tariffa parte prima, d.p.r. n. 131/1986.

Le Sezioni Unite argomentano il principio di diritto essenzialmente sulla base di un’esegesi dell’art. 4 cit. fondata sul criterio dell’interpretazione letterale, come definito dall’art. 12 comma 1 delle preleggi, il cui primato con particolare riguardo alle disposizioni tributarie, tenuto conto anche del principio costituzionale ex art. 53 Cost., deve “massimamente concorrere  … alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie impositiva”. E attraverso un puntuale esame della struttura dell’enunciato legislativo, le Sezioni Unite ricostruiscono in modo chiaro il riferimento soggettivo di cui all’art. 4 cit.

L’art. 4 della tariffa è relativo agli «atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole». Tale premessa generale – osserva la sentenza in esame – vale per tutte le ipotesi di atti societari elencati nelle lettere da a) a g) dell’art. 4 cit., tra cui quelle di cui alla lettera b), di diretta rilevanza nel giudizio, ossia per gli «atti di fusione tra società, scissione delle stesse, conferimento di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa fatto da una società ad altra società esistente o da costituire ed analoghe operazioni poste in essere da enti diversi dalle società» (assoggettati ad imposta di registro in misura fissa).

La letteralità della norma in esame, ad avviso delle Sezioni Unite, fa riferimento espressamente alle società “di qualunque tipo ed oggetto”, ove l’aggettivo indefinito è riferito dunque sia al “tipo” che all’ “oggetto”, il cui significato proprio trova, nel caso in esame, matrice e disciplina nel diritto societario.

Pertanto, il ‘tipo’ di cui all’art. 4 è “il tipo codicistico al quale è storicamente improntata l’intera disciplina societaria …”, tra cui vi è anche quello della società semplice.

Anche l’ ‘oggetto’ dell’art. 4, si legge nella sentenza,  è “l’oggetto’ codicistico che delinea la natura dell’attività economica svolta, entrando nel contratto di società quale suo elemento costitutivo e di essenziale finalizzazione … . Dunque rileva anche l’oggetto che comunque caratterizzi l’attività economica della società semplice; ‘qualunque’ esso sia e indipendentemente dalla preclusione di commercialità ex artt. 2249 e 2195 cod. civ.”.

La coerenza interna alla disposizione in esame porta a ritenere che allo stesso modo debba identificarsi il significato da attribuire al termine ‘oggetto’ – ossia come natura dell’attività economica – utilizzato una seconda volta nella disposizione in esame, con riguardo agli enti diversi, fermo restando che per questi ultimi vale la specifica limitazione all’attività agricola o commerciale, mentre per le società “vale l’onnicomprensività di ‘qualunque’ ”.

Le Sezioni unite escludono, altresì, che l’interpretazione letterale accolta sia incompatibile con la disciplina generale dell’imposta di registro o crei effetti distorsivi del sistema.

Al riguardo interessanti e articolate sono le osservazioni formulate nella sentenza con riferimento anche ai rapporti con l’imposta sul valore aggiunto o con altre voci della tariffa dell’imposta di registro, o ancora con le imposte ipotecaria e catastale (che si applicano in misura fissa agli atti di fusione e scissione di società di qualunque tipo).

Tra le varie osservazioni appare utile in particolare richiamare l’attenzione su alcuni dei passaggi argomentativi della sentenza (che potrebbero essere spunto di riflessioni ulteriori anche al di là della specifica fattispecie controversa):

– l’assoggettamento degli atti di scissione relativi a società semplice ad imposta di registro fissa rappresenta il trattamento di tariffa degli atti societari ‘ordinario’ “normalmente riconducibile alla mancata individuazione – anche per quanto concerne le società semplici al pari delle società di altro tipo – di indici di capacità contributiva che inducano ad applicare l’imposta in esame per finalità di prelievo diverse ed ulteriori da quelle (originarie) riconducibili alla sola registrazione, conservazione ed attribuzione di data certa all’atto”;

– a prescindere dall’ “efficacia complessa” della scissione societaria sul piano civilistico, sotto il profilo tributario è valorizzato proprio “l’elemento puramente riorganizzativo dell’assetto societario rinveniente dall’operazione straordinaria (Cass. SSUU n. 2637/06), ritenuto di per sé non significativo ex art. 53 Cost.”;

– con specifico riferimento alla società semplice di pura gestione di partecipazione, inoltre, le Sezioni Unite

– non solo escludono che si possa giustificare un’imposizione proporzionale per una “sorta di disfavore del legislatore tributario in ragione della fuoriuscita del bene-partecipazione dal circuito produttivo, circuito invece alimentato dalle società ad oggetto commerciale, dal momento che – all’opposto – con vari interventi, anche se contingenti e temporalmente limitati, quel legislatore ha mostrato di favorire la trasformazione in società semplice di gestione di beni non strumentali di preesistenti società (formalmente) commerciali”,

– ma rilevano anche (e ciò merita di essere evidenziato) che volendo seguire fino in fondo una tale impostazione (sulla quale più diffusamente l’ord. n. 33312/2021 con riguardo all’opzione interpretativa che giustificherebbe un’imposizione proporzionale per il carattere non speculativo, non dinamico di tale tipo di società tesa alla gestione e al godimento del bene ai fini di rendita)  “la verifica in concreto dell’effettiva destinazione al mercato e della inclusione nel circuito produttivo del bene-partecipazione – allora ragionevolmente estesa anche alle società con forma commerciale – richiederebbe per lo più un vaglio fattuale ed estrinseco all’atto non compatibile (art. 20 TUR) con l’imposta di registro”.

Resta infine sullo sfondo, nelle ultime pagine della sentenza, la questione del trattamento tributario degli atti propri degli enti-non società che non svolgono attività commerciale e che ”in quanto tali sono invece assoggettati ad imposizione proporzionale”, questione che le Sezioni Unite sembrano limitarsi a considerare sotto il profilo della scelta di un trattamento diversificato di questi enti rispetto alle società semplici, ammesse all’imposta fissa per il solo fatto di essere tali e senza che assuma invece rilievo il discrimine della commercialità, osservando come una tale scelta del legislatore non confligga di per sé con i principi costituzionali e in particolare con gli artt. 3 e 53 Cost..

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